martedì 29 luglio 2014

La poesia dell'abbandono




Bentrovati amici!
Oggi partiamo alla volta del lago di Garda! Evitiamo, però, di indossare costume da bagno e infradito, preferendo, invece, un paio di scarpe da trekking. La nostra meta si trova al di fuori delle consuete rotte turistiche estive, andremo alla scoperta di Campo, un misterioso borgo medioevale semidiroccato, nascosto dagli ulivi sulle pendici del Monte Baldo.

Passati i paesi rivieraschi di Lazise, Bardolino, Garda, Torri del Benaco, arriviamo nei pressi di Brenzone. Qui il traffico è più tranquillo, il lago si restringe attorniato dalle montagne, si fa blu intenso e verde smeraldo, assumendo quell'aspetto un po' selvaggio che ho sempre amato.

La nostra macchina, già stressata dal traffico della Gardesana, si prenderà un pomeriggio di meritato riposo nel parcheggio della piccola frazione di Marniga; la strada per Campo, infatti, non è accessibile alle auto.
 Sono le 13, il sole picchia. Prima di incamminarci, ci fermiamo sotto un albero per consumare il pranzo al sacco e la cagnolina si concede, tutta contenta, un bagno rinfrescante.



Siamo pronti, via!

La strada asfaltata si trasforma ben presto in una mulattiera, tutta in salita che ci costringe a fermarci ogni tanto per tirare il fiato... Che fatica, il sole di luglio del primo pomeriggio non aiuta di certo! Se un giorno qualcuno di voi si troverà a passare da queste parti e vorrà visitare il borgo,  il mio consiglio è sicuramente quello di incamminarsi il mattino prima delle 11.
Comunque tanta fatica viene pemiata da un panorama  sempre più suggestivo.



Continuiamo a salire, siamo impazienti di arrivare. Con lo sguardo cerchiamo di scorgere le prime case del villaggio, ma ci sono solo l'azzurro del cielo e del lago sotto di noi ed il verde caldo degli ulivi secolari tutt'intorno. I rumori del traffico sono spariti, al loro posto il canto degli uccelli e delle cicale ed il fruscio delle lucertole che corrono a nascondersi tra i cespugli al nostro passaggio.
Ad un certo  punto ci viene il dubbio di aver sbagliato strada ed esserci smarriti. Finalmente troviamo qualche cartello che ci indica la via giusta.






Arriviamo ad un bivio, a sinistra la mulattiera continua a salire, a destra si trasforma in un sentiero erboso acora più stretto e scende. Fortunatamente noi dobbiamo seguire quest'ultima direzione e ci riposiamo procedendo in discesa.

Percorrendo questi sentieri diventano evidenti i motivi dello spopolamento di Campo, avvenuto nella prima metà del Novecento: qui le auto non passano, non ci sono negozi, locali, bar, farmacie, non c'è una scuola elementare, non ci sono mezzi pubblici in grado di salire fin qui; solo ulivi, boschi e un meraviglioso panorama. Io sono incantata dalla bellezza di questo posto e sono certa che, organizzandosi, sia possibile viverci, ma immagino che chi se n'è andato di qua nei decenni scorsi abbia preferito la comodità della città o le maggiori opportunità di lavoro offerte dal turismo dei paesi rivieraschi del Garda alla vita isolata della contrada. I nonni erano pastori e coltivavano gli ulivi, i figli e i nipoti se ne sono andati a cercare fortuna altrove, e, una volta morti i vecchi, le case sono rimaste vuote, così Campo ha assunto l'aspetto, malinconico e affascinante, di un borgo fantasma.

Ma ecco,  dietro gli alberi scorgiamo le prime case!


Sono case di sasso, povere ma bellissime, hanno i colori della natura di questo luogo; alcune hanno il tetto sfondato e le finestre sono occhi bui e vuoti.

Qualche tempo fa ho sentito raccontare una leggenda secondo la quale lo spopolamento massiccio del villaggio sarebbe da attribuire alla presenza degli spiriti in alcune abitazioni abbandonate dai proprietari. Senza dubbio l'aspetto suggestivo della contrada suggerisce il diffondersi di simili storie. Io, comunque, amo credere che in queste fantasie ci sia un pizzico di verità.



Un tempo nei pressi dell'abitato sorgeva un castello, oggi rimangono solo delle pietre coperte dai rampicanti.


Usci sbarrati da porte di legno vecchissimo. Il legno è una materia viva, sempre bellissima, in qualsiasi  forma e stato di conservazione essa si presenti.
Girovagando tra le viuzze troviamo un piccola mostra di scultura ospitata in un'antica casetta.


Entro a dare un'occhiata. All'nterno non c'è nessuno, ma le sculture sono affascinanti; trovo un biglietto da visita e lo porto via per ricordarmi il nome dell'artista.

Opera dello scultore Luciano Bertolotto

Nei cortili vuoti gli oleandri sono cresciuti fino a coprire le finestre in alto.






 So che qui si trova una piccola chiesetta medioevale con un ciclo di affreschi molto bello conservato all'interno. Eccola!



L'interno della chiesetta restaurato recentemente

Parete laterale, Crocifissione con la Vergine, S. Giovanni, Santi e angeli

 L'edificio è dedicato a San Pietro in Vincoli, ma in tempi più antichi era dedicata ai SS Simone, Giuda e Giovanni Evangelista, questo risulta da un documento datato 14 gennaio 1159. Quasi 900 anni fa!
E' posizionata un po' isolata rispetto all'abitato, secondo la consuetudine delle chiese romaniche che svolgevano funzioni anche di cappelle cimiteriali; oggi dell'antico cimitero del borgo non rimane traccia.

Parete laterale, Madonna allattante con santi


 Parete laterale, bellissima Madonna della Misericordia protegge i fedeli sotto il manto

Nel catino absidale un Cristo Pantocratore circondato dai simboli degli evangelisti



Gli affreschi dagli splendidi colori e ricchissimi di particolari, sono databili intorno alla metà del 1300, opera del maestro Giorgio da Riva, un pittore proveniente dall'area trentina attivo in altre chiese del Garda.
Le bellissime figure dei Santi, di Cristo e della Vergine con le ricche vesti abbellite da decorazioni a motivi floreali e geometrici, si stagliano sulle pareti, con i loro volti assorti, fissi ed eterni nei loro gesti ieratici. Queste figure non narrano le storie della Bibbia, come spesso vediamo in altri cicli pittorici,   ma sono epifanie sospese nello spazio e nel tempo, con funzione di protezione nei riguardi dei fedeli.
Nel registro inferiore non si sono conservate pitture, si possono però osservare misteriosi segni di cui non è mai stato compreso il significato; forse avevano una funzione magica ed apotropaica.



 Lasciamo questo piccolo scrigno di tesori ed andiamo a cercare un po' di frescura nei pressi di un'antica fontana alimentata dall'acqua che scende tutto l'anno dalla montagna. Un cartello dice che qui  si lavavano  i panni.


Poco lontano, un solitario pittore dipinge in silenziosa concentrazione il meraviglioso panorama.


Ogni tanto, passeggiando tra i vicoli e gli androni, si notano altri  segni della presenza umana.
 Qualche vaso di geranio, un orto ordinato, le tende colorate messe ad abbellire qualche finestra dimostrano che in realtà qui qualcuno c'è.
Sono forse i fantasmi della leggenda?







No, non si tratta di spiriti. E' l'opera di tre singolari signore del posto che nella loro vecchia casa hanno allestito un improvvisato e spartano bar per ristorare i viandanti.


Queste donne, così cordiali e allo stesso tempo diffidenti, sono davvero strane, mi fanno pensare alle Fade  protagoniste di molte leggende della Lessinia.
 Bizzarro incrocio tra le streghe e le fate, sono creture femminili che abitano i boschi, le grotte e le contrade diroccate, possono presentarsi con un atteggiamento amichevole verso gli esseri umani, ma bisogna stare in guardia! Basta un niente per offenderle o infastidirle, e allora diventano pericolose!

Foto presa dal web

Le signore ci offrono il caffè e sono entusiaste di farci vedere le stanze della vecchia dimora.
Appena si mette piede all'interno il tempo si ferma e si torna indietro di 80, 100 anni o forse più.
 La casa potrebbe aspirare a diventare un museo della vita e delle tradizioni contadine del Baldo perchè, per volere delle proprietarie, quasi tutto è rimasto come doveva essere tanti decenni fa.

C'è un enorme camino con un piccolo spioncino per guardare l'esterno senza essere visti, ci sono i travi di legno sul sofitto, il vecchio secchiaio in pietra, lo stagnà in rame per fare la polenta sul fuoco del camino, c'è una strana slitta, e la signora mi spiega che quello era, a parte il mulo o l'asino, l'unico mezzo con cui i suoi nonni e genitori potevano scendere in paese.

 La signora conserva gelosamente tutte le vecchie fotografie delle sue zie e dello zio ("un bel giovane moro che aveva sempre fame") e ne parla con molto affetto, me le mostra e poi ci dialoga, come se queste persone a lei care fossero ancora lì.
 Mi racconta che gli zii erano in tanti fratelli e sorelle, 11 o 12 bambini; all'epoca non c'era molto da mangiare e così ogni tanto si pativa la fame. Mi fa vedere due piccole seggiole in legno e paglia, lì la sera si sedevano i bambini, vicino al camino, tutti in cerchio mentre al centro la mamma sistemava una pentola piena di polenta fumante e latte. I bambini con  un cucchiaio mangiavano tutti dalla stessa pentola. Quella era la cena quotidiana e bisognava accontentarsi, ma c'era chi aveva troppa fame e metteva in atto qualche furberia per mangiare più degli altri. Lo zio, quello bello e moro, dopo che le sorelle più piccole avevano preso solo qualche boccone di polenta, sapete cosa faceva? Sputava nella pentola!!! Così le sorelline non mangivano più e lui si pappava tutto quanto!

Mi racconta, poi, che la madre di 93 anni, che ora sta seduta nel cortile a chiacchierare con l'altra signora e il mio compagno, ancora oggi prima di ritirarsi nella sua camera la sera, va in cucina e prende qualcosa da mangiare, un panino o una mela, e se lo porta a letto: la fame sofferta in gioventù fu talmente dura da costringerla a questo piccolo rito per il resto della sua vita.

Dai racconti delle donne scopro che il borgo non è del tutto disabitato, loro ci vivono stabilmente insieme ad altre tre o quattro persone. Nel mese di agosto arriva qualcun altro per aprire e dare aria alle case. Intuisco che turisti e curiosi non sono visti con grande simpatia dai nativi del posto. In anni recenti è stata istituita anche una fondazione con lo scopo di salvare la contrada dalla rovina definitiva e sono stati messi in atto degli internventi di restauro di qualche dimora fatiscente, ma gli abitanti temono la costruzione di strade, ristoranti ed alberghi: l'arrivo di orde di turisti  chiassosi ed impiccioni significherebbe la fine dell'atmosfera incantata e sospesa che si respira quassù.

Oramai è il tardo pomeriggio, il ticket del parcheggio a pagamento della nostra auto giù a Marniga sta per scadere; decidiamo, a malincuore, di incamminarci sulla via del ritorno.

Tra un po' le ombre della sera scenderanno a preservare, per un'altra notte ancora,  Campo, i suoi abitanti, la sua storia, i suoi misteri e la sua ineffabile magia.





6 commenti:

  1. Questi paesini semiabbandonati mi incantano. Ce ne sono molti anche qui in Friuli, soprattutto in Carnia. Penso sempre che sarebbe bellissimo se un gruppo di giovani un po' speciali decidesse di abitarli facendo magari dei B&B o delle aziende agricole biologiche. Temo che piano piano, una volta scomparsi anche questi ultimi abitanti, questi luoghi verranno abbandonati definitivamente. Ma c'è un ritorno... lo spero!!!
    Un abbraccio
    Francesca

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    1. A me piacerebbe prendermi del tempo e avere la possibilità di visitare molti altri borghi come questo sparsi in giro per l'Italia. Sono luoghi dalla bellezza fragile e spero davvero che le nuove generazioni se ne prendano cura e li facciano rivivere.
      Baci

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  2. Grazie per questa particolare passeggiata e per il tuo bel racconto! Un abbraccio

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    1. Sono felice che il racconto ti sia piaciuto!
      Ciao Laura, a presto.

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  3. Grazie per questo viaggio! Assunta

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