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In alto: prima e dopo la pulitura; sottto: il ritocco e restauro finito |
Si è trattato di un lavoro molto lungo e paziente che sono felicissima di aver svolto per l'esperienza che mi ha permesso di acquisire, ma soprattutto perchè ho potuto vedere ed approfondire, toccando con mano, la tecnica originale antica con cui le vere icone venivano realizzate.
Io amo dipingere (il termine corretto sarebbe scrivere) icone bizantine con la tecnica tradizionale; potete quindi immaginare quanto interesse ed emozione abbia suscitato in me l'avere la possibilità di osservare da vicino il lavoro che l'antico iconografo ha fatto su questa icona.
Queste sono alcune foto di icone che ho realizzato negli ultimi anni:
Se siete curiosi di sapere come è nata la mia passione per l'iconografia, date un'occhiata a questi vecchi post: L'iconografia -prima parte ; L'iconografia - seconda parte
Ma cosa c'è di tanto affascinante nell'iconografia?
Non so, sarebbe lungo da spiegare. Io ci trovo lo stesso fascino che mi trasmette il restauro di un oggetto antico. Forse è la tecnica esecutiva ad incantarmi. Una tecnica fatta di gesti lenti e sapienti, fatta di concentrazione e silenzio, colori e misteriosi materiali dall'odore antico.
Qui un breve filmato che mostra la fase delle campiture in una piccola icona dell'Annunciazione da me realizzata lo scorso anno.
La tecnica esecutiva delle icone
Le icone erano dipinte su tavole di legno, generalmente di tiglio, larice o abete. Le parti del tronco scelte erano le migliori. Il legno veniva lasciato stagionare molti mesi per far uscire tutta l’umidità. Quindi le tavole erano pronte per essere lavorate. Sul lato interno della tavoletta in genere era effettuato uno scavo che veniva chiamato “scrigno” , "arca" o “culla” in modo da lasciare una cornice in rilievo sui bordi.
La "culla" |
La cornice, oltre a proteggere la pittura, rappresentava lo stacco tra il piano terrestre e quello divino in cui
veniva posta la raffigurazione. Sulla superficie del legno veniva poi incollata una tela
con colla di coniglio, che serviva ad ammortizzare i movimenti del legno
rispetto agli strati superiori. La tela, infatti, era successivamente ricoperta con diversi
strati di colla di coniglio e gesso, che opportunamente lisciati, con pelle di
pesce essiccata o carte vetrate, consentivano di ottenere una superficie
perfettamente omogenea e levigata, adatta ad accogliere la doratura e la pittura.
Icona di S.Parasceve-In questa lacuna si vede la tela messa tra legno e gesso |
A questo punto si iniziava a tratteggiare il disegno. Si partiva con uno
schizzo della rappresentazione, il successivo processo era quello della pittura.
S’iniziava con la doratura di tutti i particolari (bordi dell’icona, pieghe dei
vestiti, sfondo, aureola o nimbo). La
doratura simboleggiava la luce divina, e costituiva una fase molto importante nella
creazione dell’icona. Si usavano solo oro e argento, metalli preziosi e nobili
che venivano ridotti in fogli sottilissimi da artigiani chiamati battilori, i quali, come indica il loro
stesso nome, battevano con dei martelli sulle monete d’oro fino a trasformarle
in fogli sottili.
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Gli strumenti della doratura |
Quindi si cominciava col dipingere i vestiti,
gli edifici e il paesaggio. Le ultime pennellate venivano effettuate con la pura
biacca (bianco di piombo, pigmento velenoso). L’effetto tridimensionale veniva
reso da tratti più scuri distribuiti in modo uniforme.
Disegno, doratura dei nimbi e prime campiture di colore |
Particolare
cura assumeva la lavorazione dei volti. In genere si partiva da una base di colore
scuro ottenuto con un miscuglio di ocre, cui venivano sovrapposti strati di schiarimento con colori più chiari.
Questo procedimento simboleggiava il percorso del credente che con la fede passa
dell’oscurità dell’ignoranza e del peccato alla luce di Dio.
Successivamente balenii di luce chiari, ottenuti con l’ocra mescolata alla biacca,
erano posti sulle parti in rilievo del volto: zigomi, naso, fronte e capelli.
La vernice rossa era disposta in uno strato sottile attorno alle labbra, sulle
guance e sulla punta del naso. Infine con una vernice marrone chiara si ripassav
il disegno (graphìa): i bordi, gli occhi, le ciglia ed eventualmente i baffi o
la barba.
Schiarimenti graduali del volto |
I colori erano ottenuti da sostanze naturali, vegetali o minerali,
oppure erano il prodotto di piccoli processi chimici come l'ossidazione i metalli.
Pestati a mortaio, macinati finemente, essi erano uniti al tuorlo dell'uovo che
agisce da legante.
I pigmenti |
Il restauro di Santa Parasceve
L'icona è arrivata nelle mie mani in condizioni non molto buone: in molti punti la pellicola pittorica non era ben adesa al supporto ligneo, vi erano varie lacune e crettature profonde, inoltre era stata ridipinta più volte nel corso degli anni ed erano evidenti tracce di un restauro grossolano e mal eseguito; il tutto era coperto da uno spesso strato di vernice lucidissima (il famoso effetto caramella) che dava all'immagine un tono brunastro e innaturale.
Prima del restauro |
L'iscrizione attestante il soggetto rovinata da fessure e crettature |
Ho deciso di effettuare prima di tutto il consolidamento degli strati pittorici con piccole iniezioni di colla calda.
Quindi sono passata alla rimozione della vernice "caramella", delle ridipinture e del restauro mal fatto. Questo il risultato:
Tassello di pulitura : a sinistra vedete il blu più brillante |
dopo la pulitura e la rimozione delle ridipinture |
Restauro concluso |
Ed ecco Santa Parasceve "rimessa in forma"!
Per ora è tutto, amici... spero di non avervi annoiati!
A presto
Giorgia
Ciao Giorgia,
RispondiEliminaintanto complimenti per il restauro dell'icona. hai fatto davvero un ottimo lavoro.
Lo sai che ho un grande rimpianto nella mia vita: non essermi iscritta all'Università alla facoltà di Conservazione dei Beni Culturali e non aver frequentato la scuola di restauro di Villa Manin di Passariano (scuola che credo adesso nemmeno esista più, mentre quando avevo 20 anni era una scuola famosa e molto rinomata).
Spesso ho pensato che, con la mia capacità pittorica e la mia pazienza, avrei potuto riuscire davvero bene in questo mestiere.
Ma tu dove hai imparato? Che scuole hai fatto?
Ti abbraccio
Francesca
Ciao Francesca, Villa Manin era molto famosa, ricordo che anch'io cercai informazioni su quella scuola quando decisi di studiare Restauro; poi scelsi gli Istituti S. Paola di Mantova che si sono rivelati un'ottima scuola, gestita da persone serie ed appassionate. Ricordo che facevo la pendolare col treno, Verona-Mantova tutti i giorni per tre anni, mi alzavo alle 5 del mattino e tornavo la sera che era già buio, piena di sonno e di sogni... Che bei tempi! Una volta diplomata ho lavorato in vari laboratori, ma sempre saltuariamente perchè in questo campo, soprattutto negli ultimi anni, non si trova lavoro.
Eliminaun abbraccio!
Ciao , anch'io dipingo icone , tecnica appresa qua e là ma specialmente vedendo il lavoro che facevano le suore di rito orientale nel monastero presso santa Maria Maggiore a Roma negli ultimi anni '60 del secolo scorso! Ho ultimament un problema: su una icona già rifinita con l'olifa mi sono comparse due bolle sotto la doratura. Sto pensando a vari tipi di intervento, ma vorrei sentire la tua opinione in merito.
RispondiEliminaGrazie
Giuseppe
Dovresti fare delle piccole iniezioni di colla all'interno delle bolle e poi appiattirle con una spatola calda. Attenzione, è un intervento delicato sulla doratura.
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