giovedì 25 settembre 2014

La torta dell'Olivetta con noci, cioccolato, amaretti e ricotta

E' arrivato l'autunno.
Durante il giorno la temperatura è ancora mite e possiamo godere del sole che tanto ci è mancato nella piovosa estate appena conclusa; ma i pomeriggi si sono accorciati e dopo il tramonto fa fresco.
Cominciano a calare le ombre della sera quando andiamo a fare la passeggiata prima di cena alla Chiesetta di Madonna del Monte ; una leggera foschia si alza dai campi e l'aria umida è impregnata dell'odore dolce e pungente dell'uva matura.
Io amo l'autunno e la sua delicata malinconia. Una stagione di mezzo, sospesa tra la luce e l'ombra, nella quale sogni e speranze sembrano realizzabili, e non importa se poi così non sarà, perchè l'essenziale è continuare a sognare e a sperare.






Oggi ho fatto questa torta ripensando a quella che ci regalava la signora Olivetta quando salivamo in contrada. Era un dolce buonissimo, anche se, all'epoca, io bambina non riuscivo a mangiarne che qualche boccone perchè il ripieno aveva un sapore leggermente alcolico, di liquore che mi faceva venir mal di testa ; un sapore che comunque mi è rimasto nella memoria. Ho deciso di provare a riprodurlo e credo di esserci riuscita.



L'Olivetta e suo marito Silvino vivevano in una grande casa bianca nei pressi di un cupo bosco di abeti, all'inizio della contrada. Quel bosco mi incuteva timore perchè era buio e silenzioso e lo zio Beppe sosteneva che al suo interno vivesse una strega, perciò non vi andavo mai da sola.
La casa dell'Olivetta era, invece, molto graziosa: curata ed accogliente, con il camino e la stufa a legna. In estate il piccolo giardino sul davanti si colorava di  meravigliosi fiori che crescevano apparentemente senza sforzo né cure da parte della proprietaria. Ricordo che mia nonna, la quale possedeva un pollice verde fino ad ora ineguagliato in famiglia, ogni volta guardava ammirata ed un po' invidiosa le meravigliose dalie dell'Olivetta, più grosse e robuste di quelle che crescevano nel suo giardino in città.

Silvino e Olivetta erano gli unici abitanti sopravvissuti allo spopolamento della contrada; coltivavano i campi per ottenere il fieno, curavano l'orto, avevano 5 o 6 mucche e qualche gallina; facevano un formaggio molto saporito che Silvino preparava all'interno di una casupola con le pareti tutte annerite dalla fuliggine proveniente dal grande camino.
 I miei genitori dicevano spesso che questi due montanari, con le mani dure e callose, che si alzavano all'alba per governare le bestie, che non si concedevano vacanze in hotel né altri svaghi, erano più felici di noi perché non conoscevano lo stress della vita in città e riuscivano a vivere decorosamente producendo quasi tutto ciò di cui necessitava lo loro esistenza semplice e frugale.


Silvino era un uomo alto e magro, scuro di pelle, aveva una capigliatura folta ed ispida, gli mancavano alcuni denti e camminava un po' curvo con passo lento e pesante. Mi piaceva osservarlo mentre dalla tasca estraeva una scatoletta di latta contenente del tabacco e delle cartine bianche con le quali si fabbricava le sigarette che poi fumava con visibile soddisfazione. Mio padre e mio zio apprezzavano molto la compagnia di Silvino: lo vedevano come una specie di maestro di vita.
Mia nonna confondeva il nome e si rivolgeva a Silvino chiamandolo Severino o, peggio, Sederino! Fortunatamente egli era un po' sordo e non sempre si accorgeva dell'errore.

Olivetta era una bella donna, alta ed asciutta, con bei capelli castani naturalmente mossi quasi ricci,  aveva occhi vivaci che ridevano sempre e guance rosse e sode. Indossava perennemente una gonna  e tanti golfini sovrapposti dai colori indefiniti. Aveva un carattere dolce, mite e modi gentili.  Era molto contenta quando arrivavamo in contrada perchè costituivamo una piacevole novità nella monotonia della vita in montagna, inoltre lei e mia madre andavano d'accordo e si ritrovavano spesso, dopo cena, sedute davanti alla stufa a chiacchierare. Ogni volta ci accoglieva con un cesto colmo di noci e nocciole raccolte nei boschi o con questa fantastica torta che oggi ho tentato di riprodurre.



INGREDIENTI

Per la frolla:

300 g di farina 00
100 g di burro
80 g di zucchero di canna
1 uovo
1 cucchiaio di lievito per dolci
1 cucchiaio di essenza di vaniglia
1 pizzico di sale

Per il ripieno:

250 g di ricotta
100 g di gherigli di noce
100 g di cioccolato fondente
50 g di amaretti
 1 cucchiaio di zucchero di canna
1 bicchierino di liquore Marsala o di rum



PREPARAZIONE

Preparare una classica pasta frolla mescolando tutti gli ingredienti, amalgamandoli fino ad ottenere una palla liscia, compatta ed omogenea che coprirete con pellicola e metterete a riposare in frigo per almeno un'ora ( io l'ho preparata la sera e l'ho lasciata riposare tutta la notte).






Preparate il ripieno sgusciando le noci e sminuzzando grossolanamente i gherigli con un coltello, sminuzzate anche il cioccolato e gli amaretti.


Trascorso il tempo di riposo, togliete la pasta dal frigo, ammorbiditela un po' con le mani e tagliatela in 2 parti; quindi con un mattarello formate due dischi sottili circa 5 mm.


Adagiate uno dei due dischi in una teglia rotonda foderata di carta forno o imburrata ed infarinata.
 Poi preparate il ripieno unendo alla ricotta tutti gli ingredienti, mescolandoli bene.


Spalmate il ripieno all'interno del disco di pasta già disposto nella tortiera e coprite con il secondo disco, saldando bene i bordi e bucherellandone la superficie.


Infornate a 180 gradi per circa 30 minuti.

Il risultato sarà una torta ripiena, squisita, ottima come dessert o da offrire alle amiche accompagnata da un buon caffè, in uno dei prossimi pomeriggi d'autunno.





Un caro saluto a tutti!

                                           


                                                                                                                Giorgia


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