venerdì 29 gennaio 2016

Il Porto della memoria di Piero Marcolini - Libri

"Tutto è accaduto nei primi dieci anni della nostra storia; per quanto si temporeggi, si rimandi, ci si allontani, quel destino sta in agguato, pronto a coglierti al primo abbandono, alla prima distrazione; e, in certi casi, anche oltre la vita. Vero è che si può dire di ogni uomo, che tutto è avvenuto nei primi dieci anni di vita; ma di uno scrittore particolarmente." Leonardo Sciascia.

Questa bellissima e verissima citazione introduce il romanzo Il Porto della memoria dello scrittore e giornalista veronese Piero Marcolini. Un libro, prestato da mia mamma, che avevo dimenticato per qualche mese sulla mensola della libreria insieme ad altri libri parcheggiati lì in attesa di essere letti. Improvvisamente lunedì, non so perché, sono stata assalita dalla voglia di  leggerlo e non l'ho più mollato fino a ieri sera, quando ho sfogliato l'ultima pagina con un po' di magone.
La memoria è citata nel titolo ed è effettivamente un libro di memorie, un romanzo autobiografico che narra, attraverso personaggi realmente esistiti e fatti accaduti, la storia del borgo di Porto San Pancrazio di Verona, o semplicemente Porto, che va dagli anni '20 alla mattina del 28 marzo 1944 quando un bombardamento aereo distrusse completamente il quartiere e cambiò per sempre la vita degli abitanti sopravvissuti.
Porto era un borgo fluviale che si sviluppò sulla riva dell' Adige, il padre Adige. Gran parte delle attività e della vita degli abitanti si svolgeva in armonia con il fiume. Campi e frutteti crescevano rigogliosi grazie al terreno fertile portato dall' acqua, e poi mulini natanti, pescatori, barcaioli, lavandaie...

 mulini natanti sull'Adige-  foto d'epoca Quotidiano L'Arena

 Gli abitanti amavano il fiume, e lo temevano. Famosa nella storia di Verona è la piena dell'autunno 1882 che allagò tre quarti della città provocando ingenti danni e molte vittime. Camminando nelle vie di Verona si possono vedere ancora oggi  sulle facciate di vecchi palazzi, le tacche che segnano lo spaventoso livello dell'acqua raggiunto tra il 15 e il 18 settembre 1882.


Foto d'epoca che ritrae la distruzione provocata dalla piena dell'Adige del 1882

Porto San Pancrazio era  abbracciato a sud dal fiume e a nord dalla ferrovia costruita nell'Ottocento dall'Imperial Regio Governo del Lombardo-Veneto. Per molti decenni gli unici collegamenti con le altre zone della città potevano avvenire solo tramite una barca o attraverso un lungo e stretto sottopassaggio ricavato dagli abitanti stessi da un antico canale di scolo, detto "buso del gato". Questo isolamento provocò lo sviluppo di un mondo a sè, una specie di "sindrome dell'isola", un senso di  forte appartenenza alla comunità che colpiva tutti i Portolani.

 Il romanzo è  dunque la storia di una comunità raccontata attraverso i ricordi di giovinezza dell'autore. Episodi godibili, talvolta esilaranti, fatti storici e piccole vicende quotidiane, modi di dire, gesti di fede popolare e superstizioni visti con lo sguardo di un ragazzino, di un "bocèta", e dei suoi coetanei, compagni di scorribande sull'argine del fiume.
 L'Adige, un grande protagonista della storia, sempre in bilico tra il ruolo del padre bonario e quello dell'inesorabile ed infido omicida.
Il libro è un inno allo stupore e alla leggerezza dell'infanzia,  in quei primi dieci anni di vita che segnano il destino di noi tutti; un'età mitica nella quale ci si diverte con niente perché tutto fa ridere, anche il fascismo, anche le prediche catastrofiche del prete. L'inno fascista "E' il Duce /che ci conduce/faro d'Italia/faro di luce..." diventa " E' il Duce/ che ci conduce/ con la pelata/ ci fa da luce./La cosa che più ci piace/ sempre sarà/ polenta e baccalà."

E' un libro che mi ha divertita e commossa. Un racconto scritto da un veronese per i veronesi "che ricordano con nostalgia ciò che è scomparso". I dialoghi sono tutti in dialetto, ciò rende la lettura molto gustosa per chi lo parla e lo comprende: personaggi e situazioni risultano ancora più veri e genuini, ma forse risulta un poco difficoltosa per chi invece non lo capisce.

 Io sono nata molti anni dopo i fatti narrati; quell'epoca non l'ho vista, ma l'ho vissuta attraverso i racconti di mia nonna e delle persone più anziane. Però anch'io sono cresciuta in un paese in riva all'Adige, a pochissimi kilometri da Porto. I miei primi dieci anni li ho passati pedalando d'estate in bicicletta sull'argine, immersa nella campagna rigogliosa ed assolata; e in autunno si andava a guardare, impauriti ed affascinati, le piene, con l'acqua marrone che correva valoce verso la diga trascinando grandi tronchi e detriti di ogni genere. Conosco bene l'atmosfera di quel paesaggio fluviale descritto nel libro; un paesaggio semplice, rustico che nasconde tra la sabbia limacciosa e le foglie dei pioppi una sua particolare e dimessa magia.

Il cosiddetto Traghetto che un tempo collegava le due sponde del fiume -foto d'epoca L'Arena

Come vuole la crudele regola dell'esistenza umana, tutto ciò che è bello è destinato a finire in breve tempo. La vita del vecchio Porto così come la conoscevano i protagonosti del romanzo si arrestò improvvisamente una mattina di primavera del 1944. In quell'anno tragico Verona, considerata un importante nodo strategico e militare, venne pesantemente  e ripetutamente bombardata dagli anglo-americani. Il 28 marzo, anche il Porto fu colpito da circa quattrocento bombe sganciate a tappeto. Distrutte le case,  le botteghe, la scuola, i mulini, il traghetto, la ferrovia, persino il mitico "buso del gato" fu sventrato. Era la fine.  I poveri abitanti scampati alla morte, inebetiti ed ammutoliti dal dolore caricarono su miseri carrettini le poche cose recuperate dalle macerie e se ne andarono in silenzio.



Verona sotto le bombe anglo-americane, 1944 - L'Arena








martedì 19 gennaio 2016

Menù dell'ID - giornata dell'indipendenza alimentare - Edizione inverno

Eccoci all'appuntamento invernale dell'Independence Day, la giornata dell'autoproduzione e dell'indipendenza alimentare dalla grande distribuzione. Tutte le informazioni sull'iniziativa ideata da Francesca le potete trovare nel blog Un Tuffo nell'Insalata.

Chi pensa che l'inverno sia una stagione povera di delizie, sbaglia. Infatti in questo periodo sui banchi del mercato, se da una parte la varietà di frutta scarseggia, dall'altra si trovano molti ortaggi meravigliosi, come finocchio, carciofo, cavolo verza, radicchio... Tutti perfetti per creare ricette fantastiche! Quindi, vediamo cosa ho preparato questa volta.



Per colazione il solito caffè (per me indispensabile la mattina e dopo pranzo perchè mi mette il buonumore) con biscotti di farina di riso e scaglie di cioccolato. Sono ottimi, leggeri e li faccio spesso, infatti avevo già scritto la ricetta in questo vecchio post.


Foto di repertorio dei biscotti di riso

Per pranzo ho preparato fettuccine integrali al farro con sugo di porri e noci, altrimenti dette Pasta alla Mauro, perchè è stato il mio amico ad insegnarmi questa ricetta. Io ho solo aggiunto qualche finezza, come la tostaura delle noci e la pasta al farro, accorgimenti che rendono il piatto ancora più buono. E' un primo dal gusto delicato ma saporito,  veloce da preparare, senza grassi animali, adatto anche ai vegani. Lo mangerei tutti i giorni!!!




Ingredienti (x 2 persone)
un porro
7-8 noci (nostrane)
brodo di verdure
olio extra vergine d'oliva
sale
pepe
pasta integrale ( ho usato fettuccine alla farina di farro bio di un pastificio umbro)

Sgusciare le noci e tritare i gherigli, metterli in un pentolino sul fuoco e farli tostare leggermente per esaltarne l'aroma. Affettare il porro e farlo rosolare in una padella con due cucchiai d'olio; aggiungere un paio di mestoli di brodo vegetale, coprire e lasciar cuocere per 8-10 minuti.



Quando il porro è cotto spegnere il fuoco e unire le noci mescolando bene. Aggiustare di sale e pepe.




Nel frattempo cuocere le fettuccine in acqua salata, scolarle e gettarle nel sugo facendole saltare qualche secondo. Servire ben calde.



La preparazione della cena ha richiesto parecchio tempo e un considerevole "spignattamento". Ho deciso di cucinare vari contorni con la verdura acquistata al mercato dei contadini del martedì, in accompagnamento a dei mini tortini di patate con cuore di formaggio cotti al forno.






Ingredienti per 8-10 tortini
1kg di patate farinose
Formaggio a piacere ( io ho usato uno stracchino che avevo in frigo, ma otterrete un miglior risultato utilizzando una provola).
1 uovo (galline di una signora del paese che mi dà le uova super fresche)
Prezzemolo fresco
Sale
Pepe
Noce moscata
Olio e.v.o.

Lessare le patate con la buccia in acqua salata, pelarle e passarle allo schiacciapatate, lasciarle intiepidire in una ciotola. Quindi amalgamare le patate con l'uovo, prezzemolo, un paio di cucchiai d'olio, sale e spezie.




Con l'impasto ottenuto riempire per metà dei pirottini, precedentemente unti con un po' d'olio per evitare che i tortini si attacchino al fondo, e deporre al centro di ognuno qualche cubetto di formaggio.



Coprire con il resto dell'impasto e cuocere in forno a 180° per 25 minuti, fino a doratura della superficie. Lasciare intiepidire 10 minuti, sformare i tortini e servirli ancora caldi. Sono buoni anche riscaldati il giorno successivo.

Il piatto era arricchito da contorni costituiti da carciofi stufati e cicoria lessata fatta poi saltare semplicemente in padella con olio, aglio, sale e pepe.
I carciofi li ho cucinati così:



Ingredienti
4 carciofi freschi
un cucchiaio di salsa di pomodoro
olio e.v.o.
aglio
prezzemolo
brodo vegetale
sale
pepe

Pulire bene i carciofi eliminando le foglie esterne, le punte, la parte stopposa interna; non buttare i gambi (sono buoni!) ma pelarli e taglarli a tocchetti. Tuffare carciofi e gambi in una bacinella contenente acqua e succo di limone. Nel frattempo preparare un padella con olio, aglio e pomodoro. Scolare i carciofi e farli rosolare nella padella, poi aggiungere sale, pape, prezzemolo, un po' di brodo, coprire e far cuocere una ventina di minuti circa.



Ed ecco pronta una cena perfetta per queste gelide sere invernali, fatta spendendo poco con ingredienti semplici.

Partecipate anche voi all'edizione primaverile dell' Independence Day!!!

Alla prossima!


G.


venerdì 8 gennaio 2016

Alberi di Natale e barboni. Resoconto di una gita deprimente

Immagine da ariannaeditrice.it
Martedì, penultimo giorno di festa, il mio compagno ed io abbiamo deciso di concederci l'unica gita di queste vacanze natalizie. Con il treno siamo andati a Milano con lo scopo di vedere le mostre dedicate a Giotto e a Mucha, entrambe situate all'interno di Palazzo Reale.

La giornata, che speravamo piacevole, si è rivelata invece assai stressante e siamo rientrati a casa con un indefinito senso di malessere e di infelicità.
 Eppure abbiamo visto il Duomo e  la mostra, abbiamo pranzato, girovagato nel centro,  la città era tutta addobbata a festa... Di solito dopo aver ammirato la mostra di un artista amato ci si sente felici ed appagati da tanta bellezza... E allora, ci siamo chiesti, perchè siamo stati male?

Perchè in mezzo alle luci degli alberi di Natale sontuosi e alle vetrine dei negozi di lusso abbiamo visto molte persone, anche italiane, che dormivano sul marciapiede, senza che nessuno ci facesse caso: erano invisibili. Allora ditemi voi che senso ha fare presepi e alberi di Natale, se poi ci sono decine di povere persone ridotte a vivere su una strada!

Ma questa è la globalizzazione, amici miei. L'abbiamo tanto voluta e adesso ce la teniamo, con tutti i suoi orribili effetti!  Un consumismo vuoto e mostruoso che fa perdere ad una città eccezionale come Milano, tutta la sua umanità e persino la bellezza che la storia le ha dato.

Il Duomo. Ne vogliamo parlare? Circondato da militari con il mitra a tracolla. Per entrare bisogna prima fare la fila per pagare il biglietto, poi mettersi in coda ed aspettare che i militari perquisiscano uno ad uno i visitatori; quindi passato il primo blocco, ci si ferma un'altra volta davanti ad altri due militari che effettuano il controllo di borse e zainetti. Finalmente si entra nella splendida chiesa... e cosa ci si trova davanti? Un'orrenda piramide di vetro contenente un negozio di medagliette e altri souvenirs sacri per turisti.

In questa città, come in gran parte d'Italia ormai, i soldi volano fuori dal vostro portafoglio senza nemmeno che ve ne rendiate conto. E non perchè siate andati a mangiare in un ristorante di lusso dandovi poi alla pazza gioia, no! Avete invece pranzato con due panini di plastica in in bar deprimente e visto una mostra... Due tè caldi serviti miseramente, senza nemmeno un fettina di limone: praticamente uno spruzzo di acqua calda con una bustina di infuso del discount sono costati la bellezza di quasi 10 euro!

Tra le mostre che volevo vedere, sono riuscita a visitare solo quella di Mucha e l'Art Nouveau... Cosa dire? Opere molto belle di un artista che ammiro, uno stile che amo tantissimo, ma mi è parso che anche in questo caso l'evento non sia stato organizzato per far cultura, bensì per fare soldi. Le stanze erano troppo affollate, non si riusciva a godersi nulla del materiale esposto;  le informazioni dell'audioguida, compresa nel prezzo dei 12 euro del biglietto, erano, a mio parere, misere, non dicevano nulla della vita di Mucha, delle tecniche utilizzate, della sua formazione, insomma notizie indispensabili per conoscere ed apprezzare l'opera di un artista. Solo musichette inutili intervallate  da riassuntini che vanno bene per un allievo delle elementari!




E tra tutto questo, centinaia di persone nelle vie del centro letteralmente ipnotizzate dallo schermo del proprio cellulare, schiave del bastone per il selfie. Gente che entra per la prima volta nel Duomo e, invece di alzare lo sguardo ed ammirare le enormi volte a sesto acuto del  mitico monumento, guarda imperterrito le foto sul cellulare.

Per finire in bellezza, al ritorno, in stazione, una signora ci ha chiesto aiuto per fare il biglietto all'emettitrice automatica. Mentre stavamo digitando le informazioni necessarie, si avvicina uno dei tanti sbandati che gravitano attorno alla stazione e comincia a infastidire pesantemente la signora chiedendole dei soldi, lei si imapurisce e anch'io. Il mio compagno si mette tra il tipo e noi e ci dice di non rispondere e di continuare a fare il biglietto. Il tipo inizia ad urlare. Arrivano altri due sbandati, cominciano ad insultarsi tra di loro ("vai al tuo paese!" "no vacci tu al tuo paese", da notare che nessuno di loro era nel proprio paese!). I toni si esasperano ed i tre finiscono a rotolarsi sul pavimento picchiandosi senza tanta convinzione. Noi due e la signora scappiamo da quella scena tragi-comica e finalmente ce ne torniamo a casa su un regionale affollato e puzzolente.


G.