Inizia così, dopo una breve premessa sulla scelta del titolo, il flusso di pensieri di cui si compone l'ultimo libro di Pia Pera. Un libro delicatissimo e spietato, nel quale l'autrice ci mette subito di fronte all'ineluttabile.
Non è certo facile parlare di malattia e di morte, soprattutto quando riguarda noi stessi, lei lo fa con coraggio, lucidità, grazia ed eleganza.
Non è, però, una lettura da affrontare a cuor leggero.
Alcuni ne hanno ricavato un senso di serenità, ma per me non è stato così. Anzi, quando Pia racconta il progredire della malattia, gli attacchi d'ansia nelle notti insonni, la perdita dell'uso delle gambe e con essa la dolorosa rinuncia alla propria libertà, ho dovuto interrompere la lettura per concedermi una distrazione. Non è possibile rimanere indifferenti alla narrazione di una malattia così terrificante, la sindrome del motoneurone: lentamente ma inesorabilmente la capacità di movimento del corpo viene meno, rimangono intatte le facoltà cognitive. Prima un piede, poi la gamba, poi l'altra e poi le mani e le braccia, tutto intervallato da periodi in cui la malattia rallenta dando l'illusione di arrestarsi. Terribile. Così da un anno all'altro Pia non può più occuparsi dell'adorato orto-giardino che ci aveva fatto apprezzare ne L'orto di un perdigiorno. Il confronto tra la donna giovane, vitale e indipendente di allora e quella di adesso è dolorosissimo; lei, che in quel libro immaginava se stessa vecchissima, con il viso sorridente solcato di rughe, impegnata a zappare e potare.
A preoccuparla è il destino del giardino e soprattutto di Macchia, la sua amata cagnolina. Il libro è dedicato a Nino e Macchia, i suoi cani.
pag. 41 |
Inizialmente la scrittrice spera in una guarigione e ci racconta con ironia le speranze e le delusioni date dai vari medici e guaritori ciarlatani che interpella. Purtroppo il miglioramento non avverrà mai e nel progredire della malattia Pia pensa all'eutanasia ed è assalita dai ripensamenti, dai dubbi su quello che è stata la sua vita, farà bilanci che condividerà con i lettori con sincerità toccante.
"Non ha senso rimpiangere ora vie non percorse. Tormentarsi immaginando che la vita avrebbe potuto essere più ricca. Avevo questa idea: vivere la pace e la serenità emancipandomi dal volere sempre di più, dal bramare ogni cosa. Era un ideale di frugalità, di opposizione all'avidità dominante. Desideravo un mondo meno lacerato da conflitti, ove si imparasse a sentirsi felici di quanto si ha, assaporarlo, apprezzarlo. Questa continua a sembrarmi un'aspirazione degna. (...) Fortuna che un poco almeno ho avuto la disciplina di meditare, fortuna che un poco almeno sono andata contro la corrente: perché così, pur nella tempesta, pur nel collasso delle energie, non è escluso possa trovare un punto, non importa quanto minuscolo, di appoggio." (pp. 201-202)E quando infine si ridurrà sulla sedia a rotelle, vedendo svanire per sempre la sua autonomia che tanto aveva ricercato nel corso di tutta la vita, riuscirà a mantenere comunque la sua libertà interiore, troverà un punto d'appoggio nella poesia, nella letteratura e nella muta contemplazione del suo giardino, amico fidato, da sempre rifugio magico ricco di vitalità segreta.
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Pia e Macchia nel giardino |
"Ringrazio, prima di addormentarmi, della vita che ho avuto, io che venivo dal nulla."
(p. 193)